martedì 10 febbraio 2009

"NELLA PENOMBRA RUBATA" DI GIACOMO BINI 22 FEBBRAIO

giacomo bini

L’ho imparato a poco a poco, lettura dopo lettura, con fatica e qualche sofferenza. Sto parlando di quello che ritengo sia l’atteggiamento corretto da tenere di fronte a ogni prodotto letterario, specialmente se si tratta, come in questo caso, di una silloge poetica: intanto non interrogare compulsivamente il testo alla ricerca del suo vero senso, della sua interpretazione più fedele; poi, evitare di stabilire scale di valori, sempre opinabili e suscettibili di essere continuamente contraddette. Piuttosto è importante chiederci quali mondi quei versi possano aprirci; quali esperienze di trasformazione essi consentano; quali progetti noi abbiamo in animo di realizzare per adempiere alle aspettative di armonia, bellezza, felicità che essi, i testi e i versi, inevitabilmente finiscono per suscitare.
Considerazioni queste abbastanza ricorrenti tra i cultori della difficile arte di ‘mettere la ragione in musica’, ma che, forse, possono offrire al Lettore di Nella penombra rubata, l’ultima fatica poetica di Giacomo Bini, qualche ulteriore spunto di riflessione non banale sul significato, oggi, della comunicazione poetica.
Penso che in un tempo come il nostro, deluso e rancoroso tanto verso i grandi progetti del passato quanto nei confronti di un presente incapace di mantenere tutte le sue promesse, sia preciso compito della scrittura, e della poesia in particolare, occuparsi della fragilità degli uomini; contrastare la perdita dei ricordi, l’ambiguità, i luoghi comuni che ci piacciono tanto perché sono comodi, l’accidia morale e intellettuale. Insomma, offrire ancora motivi per una qualche umanissima speranza. Tutti temi in cui si cimenta, attraversandoli senza complessi, Giacomo Bini, non nuovo alla scrittura poetica  e capace di far risuonare con intensità le più varie corde emotive. Per esempio, un sentimento forte, riconoscente e partecipe per i propri luoghi di appartenenza “dove la natura cambia colore a ogni voltare di capo, / dal biondo del maturo grano, al rosso pomodoro, / dal bianco cavolfiore, al verde del fagiolo./”(Amata terra mia); oppure la rielaborazione, spesso sofferta e dolorosa, di ricordi privatissimi (L’Orco si nasconde), vicende d’amore (Il primo amore; Tu non mi dici mai t’amo; Un dolce profumo di camelie) e memorie familiari (Madre; Il profumo antico dei fiori). Senza trascurare ricorrenti storie d’amicizia spesso intrise di problematiche civili (ed è la vena migliore del nostro Autore), espresse con i toni tenui di passioni che conservano  ancora solo un ‘calore di fiamma lontana’: “Caro, vecchio rosso, / con la voce rughita / dalle urla di una vita / combattuta nelle piazze / o nelle assemblee fumanti / di polemiche e sigarette./ Ti vedo adesso, / caro vecchio rosso, / che il bianco / ti sfuma d’argento i capelli, / ancora a gambe larghe / in testa a un corteo, / ignorando che nella vita / tu hai già vinto.” (Il vecchio rosso).
Talora l’espressione dell’Autore assume il timbro indignato del moralista offeso dallo spettacolo ricorrente della smemoratezza collettiva (Filettole) e della violenza insensata (N.Y. 9/11). Cresce, allora, la voce del Poeta, sino a rasentare il rischio, sempre in agguato, della retorica: ma Bini dimostra di sapere ben governare il tumulto del cuore e l’affollarsi delle parole. Ed ecco che le grandi tragedie della Storia riacquistano la misura quotidiana, familiare, elegiaca a lui più congeniale, più adatta alla sua tavolozza poetica così ricca di nuances sempre accese da una vibrante, umanissima pietas.

Luciano Luciani

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